Frequentemente nelle sessioni di coaching viene affrontato il tema della delega. Ma cosa vuol dire delegare? L’etimologia, come sempre, ci aiuta a capire: il verbo deriva dal latino de-legare, “mandare con un incarico”. E in effetti anche nella nostra lingua il significato è esattamente questo: il dizionario (cfr. wikidizionario) ne da due definizioni: “assegnare a terzi atti da adempiere in propria vece” e “deputare ad altri l’esercizio della propria autorità”.
Ecco quindi che risulta evidente l’importanza della delega in qualunque attività lavorativa. Del resto è anche abbastanza naturale: in fondo la principale attività di un imprenditore è proprio quella di delegare qualcun altro – collaboratore, socio, ecc. – a fare qualcosa per sé (Peter Drucker addirittura definì il management come “il conseguimento di obiettivi tramite terzi”), e quindi è normale che possano emergere delle difficoltà nell’assolvere a questo importante compito.
Diciamo subito che ci sono due ordini di questioni da affrontare relativamente al tema della delega: da un lato una questione di metodo (“come si fa a delegare correttamente?“), e dall’altro una più squisitamente psicologica (“perchè non riesco a delegare?“)
Il metodo: come si delega?
Abbiamo detto che delegare significa attribuire a qualcuno un compito da svolgere in nostra vece: è chiaro che il concetto di delega si intreccia fortemente con quello di gestione delle persone. Rispetto a questo tema, storicamente si sono alternati due modelli diversi:
- Il primo modello – quello classico – prevedeva uno stile di leadership completamente direttivo, improntato sulla rigidità: il capo dice cosa / come / quando / fare, senza minimamente curarsi del morale “della truppa”.
- L’altro modello era più orientato a sostenere le persone, a curarsi prevalentemente dell’aspetto relazionale a discapito – addirittura – di quello della produzione.
Questi due approcci (probabilmente tutti coloro che devono gestire delle persone si saranno riconosciuti più in uno piuttosto che nell’altro), rappresentano in modo evidente due diversi stili di delega, che però entrambi comportano alcune controindicazioni.
Il primo stile, evidentemente, ha come conseguenza un elevato turnover, in quanto le persone vengono messe fortemente sotto pressione per ottenere i risultati voluti e la loro resistenza, in un clima fortemente stressante, si riduce giorno dopo giorno. L’effetto? anche i più bravi collaboratori, a poco a poco, incominciano a “guardarsi intorno”, a cercare un alternativa e, a seconda del tipo di attività, finiscono per portare le competenze apprese dalla concorrenza o ad utilizzarle per avviare un’attività in proprio.
Il secondo stile, all’opposto, comporta come “effetto collaterale” al clima positivo instaurato dal capo poca attenzione da parte dei collaboratori ai risultati, dal momento che l’azienda è vista più come una famiglia piuttosto che un attività economica che deve produrre business (e fatturato!).
In realtà il concetto chiave con il quale bisogna venire a patti per effettuare una delega corretta è il fatto che
la delega non è un azione istantanea, ma un processo, che implica l’utilizzo – ragionato e strategico – di entrambi gli stili di leadership sopra descritti.
A ciò si aggiunga il fatto che questo processo è abbastanza oneroso, e che per produrre i risultati desiderati richiede impegno, costanza ed attenzione da parte di entrambi i soggetti coinvolti, delegante e delegato.
Ecco perché approfondire la corretta attuazione del processo di delega è un tema sempre particolarmente attuale, sia nell’ambito di specifici percorsi formativi (team building, gestione delle risorse umane, assertività), sia nel contesto più individuale del business coaching.
Perchè non riesco a delegare?
Effettivamente, al di là del metodo, delegare non è mai facile. Nell’affidare un compito a qualcuno si intrecciano dentro di noi molti pensieri e considerazioni, più o meno consapevoli, che in sintesi convergono in un unica direzione: la paura.
Diciamo subito che il sentimento della paura è irrazionale, e come tale non è controllato dalla nostra coscienza. Galimberti, nel suo Dizionario di Psicologia, definisce la paura come una
“emozione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia. La paura è spesso accompagnata da una reazione organica, di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo, che prepara l’organismo alla situazione d’emergenza, disponendolo, anche se in modo non specifico, all’apprestamento delle difese che si traducono solitamente in atteggiamenti di lotta e fuga”
Nelle paure c’è quindi la sensazione che qualcosa minaccia la nostra esistenza o la nostra integrità biologica o quella delle persone a noi più vicine. L’emozione della paura si proietta nel futuro: qualcosa di brutto accadrà a noi o agli altri, pertanto spinge il soggetto ad aggredire per eliminare o allontanare l’oggetto della paura (condotte aggressive) o al contrario fuggire da questo per evitare il danno che potrebbe procurarci (condotte di evitamento dall’oggetto fobico). (cfr. wikipedia)
Ma nel caso della delega di cosa abbiamo paura? Evidentemente abbiamo paura che il nostro delegato non sia all’altezza del compito, che i suoi risultati non saranno all’altezza delle nostre aspettative, che i nostri competitor ci surclasseranno eliminandoci dal mercato, che i nostri fornitori penseranno che non sappiamo gestire bene il nostro business, che i nostri clienti perderanno la fiducia nella nostra azienda…
E tutto questo perché? Perché, in fondo in fondo (ma neanche tanto, se ci pensiamo bene), quell’attività, quel compito, quella responsabilità che vorremmo delegare ad un nostro collaboratore perché non abbiamo abbastanza tempo per poterla fare in prima persona, dentro di noi esiste una vocina che ci sussurra all’orecchio che “NON ESISTE NESSUNO AL MONDO IN GRADO DI FARLA ALTRETTANTO BENE QUANTO TE!”
Ecco quindi che si scatenano le due classiche reazioni alla paura, l’attacco o la fuga :
- la fuga dalla delega, accollandoci noi quell’ulteriore compito / attività che va ad aggiungersi alle altre innumerevoli che già ci toccano, comportando inevitabilmente un aggravio di stress e un peggioramento dei risultati
- l’attacco al – potenziale – delegato, evidenziandone i difetti, l’impreparazione, l’inadeguatezza, ovviamente al fine di autoconvincerci che non è in grado di svolgere quel compito (e quindi finendo per togliergli la delega e ritrovarci a fare noi quel compito).
Come si può gestire la paura della delega?
Innanzitutto prendendone atto (la consapevolezza prima di tutto!) e non facendo finta che non esista. Venire a patti col fatto che i nostri comportamenti, anche in ambito lavorativo, non sono sempre guidati dalla razionalità – come ci piacerebbe credere – è il primo passo per crescere e migliorarci.
In secondo luogo bisogna definire “a tavolino” (cioè con calma e senza essere presi dalla fretta e dalle urgenze) cosa e a chi vogliamo delegare. La delega è un comportamento strategico del manager e non può essere ridotta semplicemente a “togliersi una rogna” o mettere una toppa ad un’emergenza.
In terzo luogo bisogna cercare di attuare una delega ben fatta: ricordarsi che la delega è un processo ordinato composto da più momenti (che devono seguire una precisa sequenza logica), e non un semplice passaggio di consegne (cfr. il metodo). Questo significa, ad esempio, che dire ad un collaboratore “da domani ti occupi tu di questa cosa”, girargli le spalle e poi aspettare che sbagli per poter dimostrare che avevamo ragione a non fidarci di lui… non è esattamente il modo giusto per delegare.